Personale di Lilly Marcotulli

Studio del Canova - Roma

 

La scultura non é solo immagine, non può solo sembrare, deve, quando é tale, essere "cosa", fenomeno, essere insomma per intero, essere veramente, al di là di quello che in prima istanza può sembrare. Così, io credo, siano le sculture di Lilly Marcotulli.

Per questo, a me uomo, le donne di Lilly hanno finito per suggerire, poco a poco, una riflessione più sottile su quanto era in me, come idea indotta del corpo femminile e quanto invece é in se il corpo della donna. Questo é potuto accadere perché le sculture di Lilly, le sue "donne", sono archetipi, non nel senso e significato brancusiano di forma primaria ricondotta all'essenzialità univoca e sola dell'origine, ma nei modi in cui, forse, Marini, (i paragoni parlando di scultura siano permessi), pensava nel suo fare, agli uomini e alle cose: ogni volta uniche e sole, colte non nella somiglianza o nell'apparenza, ma nell'essenza irripetibile del fenomeno. Anche le donne di Lilly hanno in loro del fenomeno l'essenza: nate per essere se stesse, sono quelle, é quella donna, non può essere un'altra, anche li dove un'apparenza le riporta ad una sola superficiale somiglianza fra loro. A me oggi, uomo (sotto il bombardamento incessante dell'immagine della donna ripetuta ossessivamente nella società della merce) la frequentazione dello studio di Lilly Marcotulli, la sua serena amicizia di donna, più di tanti discorsi, mi ha fatto comprendere che al di là del subdolo messaggio mercificato dell'eros con cui la società odierna costringe alla conformazione di uno stravolto giudizio ogni uomo, e forse poi pure ogni donna, vi é altro che conta, vi é altro che il corpo della donna rappresenta al di là del giudizio egemone che l'uomo ne dà. Questo altro é un'indicibile essenza di se che nulla ha a che vedere col doppio rapporto che l'eros instaura: é la essenza naturale dell'essere che non dipende da null'altro se non dall'essere in se. Così le donne di Lilly, ma anche i suoi rari uomini, sembrano adesso a me, portare tale indicibilità nel silenzio pensoso dei loro atteggiamenti, nel silenzio raccolto di una attesa che non pone domande ne attende risposte: semplicemente é.

Duccio Staderini