Lilly tra ‘vuoto e pieno’

 

Conosco Lilly Marcotulli da molto tempo; per certi versi devo dire che è in parte responsabile della scelta del mio lavoro: frequentando il suo studio in via della Lungara, alla fine degli anni settanta, ho avuto modo di conoscere a fondo il lavoro di quegli artisti che lei incontrava come amici, e io ammiravo come maestri e artefici di un rinnovato linguaggio della vitalità dell’arte: Mario Schifano, Tano Festa e Franco Angeli. In quegli anni, la dimensione materica del suo lavoro proponeva le ‘rimembranze’ di una suggestione arcaica: i suoi ‘idoli di pietra’ nascondevano ancora tracce indelebili di un passato non ancora trascorso, rivelavano insomma la sua storia. Una storia destinata ad evolversi, ad arrivare lontano; Lilly evoca con la scultura, la dimensione onirica di luoghi ‘vissuti’, di atmosfere ‘frequentate’, di spazi ‘familiari’ che sono conosciuti perché ‘visti’; ma nello stesso tempo sono anche ‘luoghi dell’anima’: immagini create dalla fantasia e dai ricordi di una realtà guardata con affetto e goduta attraverso lo sguardo della lontananza. Mi piace guardare ora una foto di Lilly Marcotulli ripresa mentre lavora alle sue sculture, il volto compare all’interno dello spazio vuoto, e la foto rimanda subito al concetto del guardare ‘attraverso’: quando l’artista guarda dentro allo spazio ‘vuoto’ è la scultura che inquadra il volto? Oppure la forma è soltanto il supporto di un vedere che va ‘oltre’. Certo l’anima di un artista rispecchia sempre le sue origini, e Lilly ha un’origine doppia, e di conseguenza anche l’anima è duplice: Roma e Caracas giocano un ruolo determinante nella sua personalità; la storia antica e il mondo nuovo si percepiscono a vicenda e si completano. L’approdo al linguaggio della scultura esprime con la maturità una padronanza della tecnica che rivela, nella profondità del chiaroscuro, il peso e la posizione di un costante equilibrio armonico. Partendo da zero, dalla materia inanimata, l’artista sfugge immediatamente alla trappola strutturale cubista o costruttivista; non si tratta più di organizzare dei piani, delle superfici o dei volumi in maniera ritmica; Lilly adotta la concezione dinamica della continuità dei contorni e dei volumi; e simultaneamente apre a delle forme plastiche sospese che lasciano circolare lo spazio esterno nello spazio interno.

La circostanza di questo ritorno permette quindi un'analisi più attenta dell'opera di Lilly Marcotulli: l'occhio non vede altro che l'occhio, sostiene Novalis; ma la distanza del tempo riesce ad avvicinare frammenti dispersi che si ricompongono come in un caleidoscopio. La pura bellezza consiste nell'eliminazione del superfluo, e il mestiere dello scultore è sempre portato a 'togliere' piuttosto che ad aggiungere; Lilly è riuscita a condensare in tutta la sua opera la naturale dimensione di un 'vuoto' che evoca, nella sua fluttuante simbiosi, il 'peso' di una presenza percepita attraverso la distanza velata del sogno.

Stefano Cecchetto